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É stata la posizione del prof. Roberto Perotti, ospitata sul Sole 24 Ore del 7 febbraio, a “salutare pubblicamente” – e con un tempismo perfetto – la costituzione ufficiale di Sistema Cultura Italia, la Federazione italiana dell’industria culturale che aderisce a Confindustria, che andrò a guidare nel prossimo biennio. Rappresentiamo tutte le imprese del mondo dei contenuti (editoria, musica, cinema, spettacolo, tv e home video) legate al sistema Confindustria, quelle che vivono del diritto d’autore. E ci siamo federati proprio per muoverci compatti sui temi comuni, a partire dalla difesa della tutela di quel diritto d’autore di cui Perotti parla.
Su un’affermazione allora tra quelle contenute nell’articolo si può convenire: che il diritto d’autore sia tema “delicato, che richiede un dibattito serio e rigoroso”. Anche perché – come dimostra un recente studio della Commissione europea – le industrie che basano le loro attività sul diritto d’autore rappresentano oltre il 5% dell’economia europea e sono quelle caratterizzate da maggior crescita del valore aggiunto e dell’occupazione.

Tralasciando il tema della cosiddetta legge Urbani, sulla quale tanto si è scritto e spesso a sproposito, facendo da questa discendere conseguenze sanzionatorie ben lontane dalla realtà, in verità non è chiaro quanto il prof. Perotti propone, sia pur provocatoriamente: l’abolizione della SIAE o l’abolizione del diritto d’autore? Non è proprio la stessa cosa, considerato che la SIAE svolge un ruolo certamente importante ma circoscritto solo ad alcuni diritti a gestione collettiva, quelli autorali, e solo in alcuni settori; la realtà è ben più complessa visto che gran parte dell’industria si basa invece su gestioni individuali dei diritti.

Perotti sembra confondere i piani, in particolare quando attribuisce alla SIAE il potere di determinare i prezzi di mercato, creare monopoli e determinare il successo e l’insuccesso dei prodotti culturali sul mercato. Come dovrebbe essere noto anche agli analisti più distratti, l’accesso degli artisti, in ogni campo, non è affatto influenzato dalle società di gestione collettiva dei diritti, che intervengono ex post, per la gestione di alcuni, e solo alcuni, diritti. E comunque un tema è la SIAE è un altro – e ben diverso – è il diritto d’autore e la ragione della sua esistenza.
Ben più sorprendente per noi è però l’affermazione per cui la cultura non ha bisogno di una remunerazione che derivi dal diritto d’autore.
E’ infatti il riconoscimento anche economico dello sforzo intellettuale degli autori e degli investimenti realizzati per pubblicare e diffondere i contenuti culturali a costituire il motore fondamentale per la cultura in Italia e nel mondo.
Visto che la produzione culturale costa, non è mai gratis. Certo, la cultura è esistita anche prima della definizione della proprietà intellettuale, ma siamo proprio sicuri che sia la stessa cosa, per l’artista o l’intellettuale, dipendere dalla benevolenza del mecenate o dai meccanismi di mercato? Tutti noi apprezziamo le propensioni altruistiche in tutti i campi, ma dall’esistenza di volontari nella Croce rossa non facciamo derivare la necessità di sospendere il pagamento degli stipendi di medici e infermieri.

L’economia del diritto d’autore è disciplina complessa, cui purtroppo in Italia l’accademia ha dedicato meno attenzione che in altri paesi. Saremmo lieti allora, e pronti a collaborare, se si volesse affrontare il tema in modo serio e rigoroso, ragionando non solo su come nell’era digitale possa essere definito il tradizionale modello di bilanciamento tra incentivi alla produzione ed esigenza del consumatore, ma anche, ad esempio, sul rapporto tra modalità di tutela ed equilibri competitivi nei mercati culturali.
Insomma, val forse la pena di lasciar perdere le boutade e tornare in biblioteca, e da lì rimettere le basi per quel “dibattito serio e rigoroso” di cui davvero abbiamo bisogno.

Federico Motta
Presidente Sistema Cultura Italia